Un secondo gruppo, di circa 100.000, comprende i lavoratori portati in Germania dopo l’8 settembre 1943; di costoro un piccolo nucleo (alcune migliaia) aveva accettato le proposte di assunzione nel Reich propagandate dagli uffici aperti nell’Italia occupata dal Plenipotenziario generale per l’impiego della manodopera (Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz, abbreviato in GBA) Fritz Sauckel, perciò nel loro caso non si può parlare di coazione diretta.
Gli altri, l’assoluta maggioranza, furono precettati tramite cartoline analoghe a quelle della leva, o furono arruolati in quanto facenti parti di classi di leva di cui era previsto l’impiego come lavoratori, o ancora furono indicati agli arruolatori tedeschi dalle aziende in cui lavoravano, alle cui direzioni fu intimato dall’occupante di preparare e far pervenire appositi elenchi, ed infine, in parecchi, vennero catturati durante rastrellamenti operati dalle unità tedesche e dagli apparati armati di Salò nelle retrovie del fronte, sia nel corso di azioni antipartigiane, sia in razzie, mirate o di rappresaglia, attuate nelle aree urbane; tutti costoro vennero trasferiti in Germania per essere utilizzati nella produzione di guerra come lavoratori coatti.
Giunti a destinazione, furono alloggiati negli Arbeiterlager, dipendenti di norma dalle imprese che li impiegavano oppure dagli Uffici del lavoro (Arbeitsämter).
Per una corretta definizione, si ritiene sia corretto servirsi dei concetti di “rastrellati” e “lavoratori coatti”.