I deportati in Konzentrationslager e Vernichtungslager

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Un terzo e numericamente più esiguo gruppo, formato, allo stato degli studi, da 40.517 persone, comprende infine coloro che vennero deportati dall’Italia avendo come destinazione programmata il sistema concentrazionario nazista vero e proprio, dipendente dalla struttura SS.
È opportuno attribuire solo a questo gruppo l’appellativo di “deportati”, restringendo perciò il senso del termine “deportazione” a quello di “deportazione nei campi di concentramento e di sterminio nazisti”.
In tal modo è possibile collocare al posto giusto ogni tassello del quadro generale, assai complesso, che raccoglie le vicende degli italiani e delle italiane trasferiti coattivamente in Germania successivo all’armistizio.
La categoria “deportazione”, però, deve essere scomposta ulteriormente, poiché il sistema concentrazionario nazista era diventato, dalla seconda metà del 1941 in poi, la somma di due distinti apparati governati da logiche differenti.
Al sistema dei Konzentrationslager (abbreviato KL), avviatosi nel 1933 con Dachau e poi sviluppatosi negli anni successivi (parossisticamente dal 1939 in poi) con l’obiettivo di mettere fuori gioco e tendenzialmente eliminare oppositori politici (dal 1933), non conformisti e potenziali oppositori sociali (dal 1936), persone in grado di coagulare resistenza nel territori occupati dalla Wehrmacht (dal 1939), si aggiunse il sistema dei campi di sterminio (Vernichtungslager, abbreviato VL), pensati come installazioni deputate ad eliminare fisicamente in massa ed in tempi brevi gli ebrei d’Europa. I VL erano concepiti sul modello dei KL; amministrativamente legati ad essi, ne differivano però per finalità e funzionamento. Complessivamente otto (un ulteriore campo di sterminio, Mogilëv, a est di Minsk, nella Bielorussia occupata, fu progettato ma non realizzato), dei VL uno fu collocato nella Serbia invasa, alla periferia di Belgrado (Semlin-Sajmište), un secondo in Bielorussia alla periferia di Minsk (Malý Trostinec), e ben sei nel territorio polacco in varie forme annesso; di questi quattro VL (Chełmno, Bełzec, Sobibór, Treblinka), funzionarono fino al 1943, quando vennero chiusi (Chełmno venne riaperto brevemente nell’estate del 1944 allo scopo di uccidere gli ebrei ancora in vita del ghetto di Lodz, gli altri tre furono smantellati subito dopo la chiusura); degli altri due Majdanek (piazzato all’interno del KL omonimo nei pressi di Lublino) operò soltanto nell’estate del 1942, Auschwitz II (cioè Birkenau, che era una sezione del gigantesco KL di Auschwitz) continuò invece la sua attività sterminatrice fino alla fine di gennaio 1945, quando il campo fu liberato dalle truppe sovietiche.
Tra i deportati italiani occorre però distinguere tra gli ebrei (8.709 complessivamente, di cui 6889 deportati dall’Italia, e 1820 dal Dodecaneso al tempo italiano; ne sopravvissero in tutto appena 753) gettati nelle spire della “soluzione finale” e perciò mandati in gran parte ad Auschwitz II Birkenau (dove nei mesi precedenti il genocidio era stato centralizzato), mentre una parte assai più ridotta finì in KL (Bergen Belsen, Ravensbrück, Buchenwald, Flossenbürg); e gli altri 23.826 che, classificati dagli occupanti e dai loro alleati fascisti repubblicani tra gli oppositori politici o sociali, vennero inviati in KL (Dachau, Mauthausen, Buchenwald, Ravensbrück, Flossenbürg, ecc.), ne sarebbero tornati all’incirca il 50%.
Ulteriori 7.982 deportati, destinati originariamente anche loro a finire nei KL oltre Brennero, restarono però nel campo di transito  Durchgangslager, abbreviato Dulag, di Bolzano Gries, non essendo stato possibile inviarli oltre Brennero, e ciò rese possibile loro sopravvivere in misura assai maggiore dei loro compagni invece giunti alle destinazioni previste.
La distinzione tra lavoratori coatti, IMI, e deportati in KL/VL ha però in qualche misura anche un carattere idealtipico: è necessario non confondere vicende e percorsi tra loro molto diversi, ma anche tenere presente da un lato che il confine tra una categoria e l’altro poteva essere, in casi particolari, non così netto (ci furono per esempio campi di punizione per internati militari non disposti a collaborare in alcun modo e campi di punizione per lavoratori riottosi che erano ben poco differenti dai KL), dall’altro che vicende di vario genere (dal comportamento personale giudicato ostile dai carcerieri, a scelte attuate dalle autorità naziste per motivi di carattere assolutamente estraneo alla vita del campo) potevano far sì che il lavoratore coatto o l’internato militare finisse in KL.