Il gruppo più numeroso era rappresentato dagli Internati Militari Italiani (abbreviato in IMI), termine affibbiato dalle autorità militari e politiche del Terzo Reich a ufficiali, sottufficiali e soldati delle forze armate del Regno d’Italia catturati dalla Wehrmacht nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre 1943, in territorio metropolitano, nella Francia meridionale e nei Balcani.
Classificandoli in tal modo, invece che – come previsto dal diritto internazionale – “prigionieri di guerra” (Kriegsgefangenen), Berlino poté sottrarli al patrocinio della Croce Rossa Internazionale (CICR) di Ginevra e nello stesso tempo mantenere in vita con maggior spessore simbolico l’idea dell’Asse tra le due maggiori potenze fasciste, Germania ed Italia (quest’ultima sotto le vesti della RSI).
Gli IMI, in tutto 650.000 vennero detenuti fino all’agosto 1944 in campi di prigionia militare dipendenti dai distretti militari (Wehrkreise) in cui era suddiviso il Reich: gli ufficiali nei cosiddetti Oflager (campi per ufficiali), i sottufficiali e i soldati nei cosiddetti Stammlager (campi-madre).
Nell’agosto 1944 gli IMI vennero trasformati, con atto d’imperio, in lavoratori civili coatti, e vennero in parte significativa trasferiti nei cosiddetti Arbeiterlager (campi per lavoratori stranieri, sottoposti ad un regime di forte controllo), in altra parte mantenuti dov’erano, ma con un diverso status.
I campi di prigionia militare erano sottoposti all’autorità del comando supremo delle forze armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht, abbreviato in OKW) e non avevano nulla a che fare (come del resto quelli per lavoratori stranieri, di cui si dirà più oltre) con i KL, che dipendevano invece dall’apparato SS, ormai strettamente intrecciato con le strutture di polizia dello Stato (dal 1936 Heinrich Himmler era infatti sia comandante supremo della SS, sia capo della polizia tedesca; nell’agosto 1943 sarebbe diventato anche ministro degli Interni). Oltre il 90% degli IMI riuscì a sopravvivere alla prigionia: i caduti furono circa 50.000.
Analiticamente, è più giusto e corretto definire la loro vicenda “internamento militare” e riferirsi a loro con il termine IMI.
Per approfondire: