La parabola della guerra “assiale” 1940-1943

/

Il regime monarchicofascista bruciò ogni possibilità di sganciarsi dall’alleanza con il nazionalsocialismo tra il febbraio ed il marzo 1940, quando Benito Mussolini rifiutò l’offerta britannica di rifornire l’Italia del carbone necessario alla sua economia, non potendo più il carbone tedesco viaggiare via mare per il blocco navale imposto dalla stessa Londra, ed accettò invece la proposta di Hitler di far arrivare oltre un milione di tonnellate al mese di carbone tramite la sola via di terra.
A quel punto l’entrata dell’Italia in guerra era solo questione di tempo.
I nodi sarebbero però venuti al pettine in seguito, con la lunga crisi del 1943. L’andamento ed il prolungarsi del conflitto, assieme alle difficoltà sempre crescenti a sopportarne l’onere da parte dell’Italia, costretta tra l’altro dall’asimmetria globale sempre più evidente con la Germania ad anticipare alle famiglie l’ammontare delle rimesse dei propri congiunti al lavoro oltre Brennero, determinarono la richiesta di Roma di far rientrare in patria i propri cittadini al lavoro nel Reich.
I rimpatri vennero però interrotti dalle autorità di Berlino in seguito al rivolgimento del 25 luglio.
Restano così bloccati nel territorio del Großdeutsches Reich (comprendente a quel punto anche l’Austria, i Sudeti ex cecoslovacchi, i territori polacchi annessi dopo il settembre 1939, nonché il Protettorato di Boemia e Moravia ed il Generalgouvernement, di fatto colonie germaniche) circa 100.000 italiani, uomini e donne, il cui status sarebbe drasticamente peggiorato dopo l’8 settembre 1943 (uscita del Regno d’Italia dalla guerra, occupazione militare tedesca del Centronord, successiva creazione della Repubblica sociale italiana a sovranità limitata).
Lo status degli operai e dei braccianti italiani precipitò a quello di lavoratori coatti.
La rottura dell’Asse, al di là del tentativo di ricostituirlo almeno simbolicamente tramite la RSI, avrebbe fatto immediatamente cadere in mano tedesca oltre 650.000 militari italiani, ufficiali, sottufficiali e soldati; data la fame di braccia creata nell’economia di guerra tedesca dal protrarsi del conflitto, soldati e sottufficiali delle Regie Forze Armate sarebbero stati in gran parte avviati subito e coattivamente al lavoro produttivo, mentre il tentativo di servirsi come manodopera degli ufficiali avrebbe avuto tempi più lunghi ed avrebbe visto l’impiego di mezzi sempre più coercitivi. Contemporaneamente, l’Italia occupata, sia le regioni amministrate dalla RSI, sia le aree al confine orientale e nordorientale (OZAK e OZAV) direttamente rette da organi tedeschi, acquista agli occhi delle autorità germaniche preposte alla gestione della manodopera e al coordinamento della produzione industriale ed agricola (Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz – GBA; Reichsministerium für Rüstung und Kriegsproduktion – RMRuKP; Reichsministerium für Ernährung und Landwirtschaft, RMfEuL) rilevanza sempre maggiore quale riserva di manodopera da drenare oltre Brennero.
La pressione dei delegati di Berlino si intensifica con l’andare del tempo perché progressivamente vengono ad inaridirsi le possibilità di arruolare o prelevare lavoratori nelle zone occupate sia dell’Ovest (Francia, Belgio), sia dell’Est (regioni occidentali dell’URSS) mentre resta sempre indispensabile ripianare i vuoti lasciati tra la forza lavoro dall’arruolamento di uomini destinati a colmare i vuoti apertisi nelle file delle Forze armate tedesche.