VENETO

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Il Veneto, occupato dalle truppe germaniche a partire dal 10 settembre 1943, fu subito considerato prezioso serbatoio di manodopera da impiegarsi nei territori del Reich e più tardi, a fronte di una eventuale avanzata degli Alleati, nella costruzione di opere di difesa in loco.

Nonostante i ripetuti bandi e le condizioni di lavoro almeno sulla carta favorevoli, l’adesione volontaria a recarsi in Germania fu assai scarsa in tutte le province.

Pertanto, operato il censimento, più volte aggiornato, della popolazione abile al lavoro, sulla base degli elenchi predisposti dai Comuni e inviati agli Uffici di Collocamento o del Lavoro, si dette seguito al reclutamento di manodopera tramite precettazione. Di fronte a tale provvedimento, in alcune zone, ad esempio a Padova, si attuarono azioni di contrasto da parte degli impiegati, mentre i medici incaricati di verificare le condizioni dei civili reclutati tendevano a certificarne l’inabilità per il Reich. Anche taluni podestà e commissari prefettizi furono accusati di compilare intenzionalmente liste composte per la quasi totalità da prigionieri di guerra internati in Germania, invalidi, lavoratori con carichi di famiglia o dipendenti dalle industrie protette.

Nel Polesine la precettazione di manodopera femminile per lavori agricoli dette luogo a manifestazioni di ostilità e resistenza nel corso delle quali le donne preferirono essere arrestate e portate in carcere. Altrove, armate di bastoni, impedirono che gli uomini si presentassero alla visita medica prima della partenza.

Anche a Treviso le operazioni di reclutamento “volontario”, la mobilitazione delle classi di leva e le precettazioni ebbero un esito inferiore alle aspettative: meno di 500 persone nel periodo fra ottobre 1943 e maggio 1944, fra le quali un significativo contingente di donne, in massima parte lavoratrici agricole.

La precettazione della manodopera nelle industrie del Vicentino provocò nel marzo del 1944 una serie di scioperi a catena, che terminarono con accordi tra occupanti e lavoratori in base ai quali sarebbe stato sospeso il prelievo forzato delle donne. Anche a Porto Marghera ai continui prelievi di operai si rispose nella primavera del 1944 con scioperi duramente repressi: incarceramento e il successivo invio nei campi di lavoro o nelle prigioni del Reich furono le misure punitive più frequenti.

Durante l’estate 1944 si verificarono in varie aree della regione retate e rastrellamenti di civili, che consentirono agli occupanti di recuperare un numero cospicuo di lavoratori da destinare in aree limitrofe o da trasferire oltre il Brennero; questa strategia si combinò con le attività di repressione antipartigiana e si avvalse della collaborazione di personale fedele alla Repubblica sociale.

Infine, rilevanti furono nel Trevigiano e nel Veneziano le operazioni di reclutamento, da parte della Organizzazione Todt e dei Battaglioni del lavoro della RSI, di manodopera coatta per l’impiego in loco nella costruzione di fosse anticarro e altri sistemi di difesa.

di Francesca Cavarocchi, Adriana Lotto e Sonia Residori